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Pesce in gravidanza e il bimbo cresce

Una dieta ricca di pesce durante la gravidanza, in particolare durante gli ultimi mesi, sembra favorire la crescita del bambino, riducendo la probabilità di partorire bambini sottopeso. Ne parla uno studio i cui risultati saranno pubblicati sulla rivista specializzata Journal of Epidemiology and Community Health.

Lo studio ha coinvolto un numero estremamente elevato di partorienti: ben 12.000 donne. L’importanza di tale risultato risiede nel fatto che un neonato sottopeso va incontro a un rischio maggiore di cardiopatie e diabete. Alle partecipanti allo studio è stato richiesto di annotare il consumo di pesce dopo la 32esima settimana di gestazione, quindi dopo circa 7 mesi e mezzo.

In base all’analisi di quanto riportato dalle madri, i ricercatori hanno calcolato l’apporto di acidi grassi omega 3, noti per gli effetti benefici sulla salute cardiovascolare tra cui una maggiore fluidità del sangue, che attraversa con più facilità la placenta, e la prevenzione di aritmie. In media è emerso che le donne assumevano l’equivalente in acidi omega 3 di un terzo di una scatoletta di tonno al giorno, pari a circa 0,15 grammi. I benefici sull’organismo della madre e del nascituro aumentavano all’aumentare di pesce introdotto con la dieta.

Una crescita ridotta del feto sopraggiunge in una gravidanza normale in circa un caso su dieci, mentre nelle donne che non mangiano mai pesce avviene in un caso su otto, circa il 13 per cento. La Food Standards Agency sconsiglia, tuttavia, di introdurre nella dieta carne di squalo, merluzzo, pescespada e tonno per l’alta percentuale di mercurio presente in questi pesci.

(Fonte Yahoo Salute 13/05/2004)

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Omega-3 e tumori del fegato

Gli studi sugli effetti benefici per la salute degli omega-3 si susseguono. L’ultimo in ordine di tempo ha preso in considerazione il rapporto tra l’assunzione di questi acidi grassi e l’insorgenza dei tumori del fegato. Secondo quanto è stato riferito all’annuale convegno dell’American Association for Cancer Research (AACR) tenutosi a Washington, dai ricercatori della Scuola di medicina dell’Università di Pittsburgh vi sarebbe in effetti un effetto di prevenzione nei confronti di questo tipo di neoplasie.
In un primo studio, è stato analizzato l’effetto su cellule con carcinoma epatocellulare, responsabile del’80-90 per cento di tutti i tumori del fegato e fatale dopo 3-6 mesi dalla diagnosi, di un trattamento a base di omega-3, in particolare di acido docosaesaenoico (DHA), di acido eicosapentaenoico (EPA) e di omega-6, in particolare di acido arachidonico (AA). Dopo un periodo di osservazione variabile tra 12 e 48 ore, il DHA e l’EPA hanno mostrato un effetto di inibizione della crescita cellulare dipendente dalla dose, mentre il trattamento con AA non ha mostrato alcun effetto significativo. Secondo i ricercatori, l’efficacia sarebbe dovuta all’induzione del meccanismo di apopotosi.
In un secondo studio, invece, sono state utilizzate cellule tumorali di colangiocarcinoma, una particolare forma molto aggressiva di neoplasia del fegato, che ha origine nei dotti biliari e ha una mortalità molto elevata. Anche in questo caso i risultati di inibizione della crescita cellulare sono stati ottenuti con il trattamento a base di DHA e di EPA e non con AA.
Secondo Tong Wu, che ha guidato la ricerca, i risultati suggeriscono la possibilità di arrivare non solo a una terapia efficace dei tumori del fegato, ma anche a una prevenzione della steatoepatite, una patologia cronica caratterizzata da un accumulo di grassi nel fegato, considerato indice di un possibile sviluppo di carcinoma epatocellulare.

Fonte: Le Scienze (04/04/2006)

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