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Sclerosi laterale amiotrofica: vitamina E e omega 3 riducono il rischio di ammalarsi

Una dieta ricca di grassi polinsaturi come gli omega 3 e di vitamina E più che dimezza il rischio di sviluppare malattie dei neuroni motori come la sclerosi laterale amiotrofica. È quanto suggerito da uno studio pubblicato sul Journal of Neurology Neurosurgery and Psychiatry da Jan Veldink, del dipartimento di Neurologia dell’University Medical Center di Utrecht, in Olanda.
La sclerosi laterale amiotrofica è una patologia neurodegenerativa a rapida progressione in cui, nel giro di cinque anni dalla comparsa dei primi sintomi, la distruzione dei neuroni motori induce la paralisi progressiva con esito fatale. La malattia è oggi incurabile. Le sue cause non si conoscono ma di certo la sclerosi origina da un mix complesso di fattori di rischio genetici e ambientali, questi ultimi legati cioè alla dieta, allo stile di vita e forse anche all’assunzione di certe sostanze.
Gli esperti hanno chiesto a 152 pazienti e 220 soggetti sani di controllo di compilare un questionario circa le proprie abitudini alimentari presenti e passate. Dal dettagliato questionario i clinici hanno evinto l’apporto giornaliero per ciascun partecipante di nutrienti quali flavonoidi, calcio, licopene, vitamina E e grassi polinsaturi come omega 3 e omega 6. Questi ultimi sono considerati grassi buoni in quanto diversi studi hanno evidenziato un loro ruolo protettivo per l’organismo. Ne sono ricchi certi pesci e oli vegetali.
È emerso un chiaro nesso tra l’apporto quotidiano di vitamina E e grassi polinsaturi e rischio di ammalarsi di sclerosi laterale amiotrofica.
In particolare coloro che avevano un apporto giornaliero di grassi polinsaturi pari a 32 grammi presentavano un rischio ridotto del 60 per cento di ammalarsi di sclerosi laterale amiotrofica rispetto a coloro che invece avevano un apporto giornaliero di grassi polinsaturi pari a 25 grammi.
Per la vitamina E un apporto giornaliero pari a 18-22 milligrammi era associato a rischio ridotto del 60 per cento di ammalarsi di sclerosi laterale amiotrofica rispetto a coloro che invece avevano un apporto giornaliero di vitamina E pari a 18 milligrammi.
Gli effetti di vitamina E e grassi buoni sembrano sinergici, con un risultato nel loro insieme molto significativo in termini di protezione dalla malattia. Invece non sono state trovate associazioni significative tra l’introito giornaliero di altri nutrienti quali calcio, flavonoidi e licopene, e protezione dalla malattia. Probabilmente vitamina E e grassi polinsaturi esercitano un effetto neuroprotettivo oltre che partecipare al benessere generale dell’organismo, hanno concluso i neurologi.

Fonte: Veldink JH et al. Intake of polyunsaturated fatty acids and vitamin E reduces the risk of developing amyotrophic lateral sclerosis. J Neurol Neurosurg Psychiatry 2006; doi 10.1136/jnnp.2005.083378.

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I benefici del pesce: La dieta antinfiammatoria

Un recente simposio, organizzato dalla prestigiosa Columbia University e che ha raccolto i più qualificati studiosi internazionali degli acidi grassi, ha confermato che esistono sufficienti evidenze sul ruolo antinfiammatorio degli acidi grassi polinsaturi della serie omega 3, presenti nelle verdure e nel pesce. Una dieta a basso contenuto di calorie, vegetariana e con pesce è dimostrato che ha positivi effetti su malattie infiammatorie autoimmuni come l’artrite reumatoide, la sclerosi multipla e la malattia infiammatoria intestinale.
Il controllo dell’infiammazione per via alimentare è poi di grande utilità anche in altre patologie apparentemente diverse, come le demenze, l’Alzheimer in particolare. Sempre gli studiosi convocati dalla Columbia University, le cui conclusioni sono state pubblicate dall’American Journal of Clinical Nutrition, ricordano che il consumo di pesce è protettivo verso il declino cognitivo ed è associato a un ridotto rischio di Alzheimer. Anche nell’Alzheimer, infatti, l’infiammazione svolge un ruolo cruciale nella formazione e nella progressione della placca, costituita da ammassi di frammenti proteici e da cellule immunitarie infiltrate in questi depositi che alterano la normale attività cerebrale. Placca infiammata che ritroviamo anche nelle arterie e che è alla base della aterosclerosi e del conseguente rischio cardio e cerebrovascolare.
Ma che relazione molecolare c’è tra alimentazione e infiammazione? Perché una dieta ricca di carne rossa e formaggi può incrementare l’infiammazione, mentre una dieta ricca di verdura e di pesce può avere un effetto opposto? Perché i grassi contenuti nei diversi alimenti vanno a comporre la membrana delle nostre cellule, che è costituita da colesterolo e da acidi grassi agganciati a una molecola complessa che si chiama fosfolipide. Se la nostra dieta è ricca di carne rossa e formaggi, anche la membrana delle nostre cellule sarà più ricca di colesterolo e di acidi grassi polinsaturi della serie omega 6: da questi ultimi e in particolare da un acido grasso, che si chiama arachidonico, si formano potenti sostanze infiammatorie, utili se mantenute in un rapporto equilibrato con altre sostanze meno infiammatorie derivate dagli acidi grassi omega 3, pericolosissime se in eccesso. Secondo alcuni studi, il rapporto giusto tra omega 6 ed omega 3 dovrebbe essere 4 a 1; la membrana delle cellule di un tipico cittadino occidentale di regola presenta un rapporto che è 15 a 1. Differenza non lieve che potrebbe spiegare la notevole diffusione delle patologie a base infiammatoria nei paesi ricchi.
Ma anche in questo caso è opportuno chiarire che quel rapporto ottimale potrebbe non esserlo per alcune persone, per esempio per bambini e in generale per giovani in crescita. L’elevato consumo di acidi grassi della serie omega 3, infatti, ricordano gli esperti americani, potrebbe avere un effetto nella crescita ritardandola. Perché? Perché l’osso in crescita è stimolato da sostanze infiammatorie. Così, se una persona ha un sistema immunitario che produce con difficoltà una risposta infiammatoria verso i patogeni, potrebbe non essere positiva una dieta troppo squilibrata verso gli omega 3.
Da questi studi emerge quindi che non esiste una dieta valida in assoluto, ma che è necessario ricercare un’alimentazione ritagliata su quella che una volta si chiamava “diatesi” individuale e che oggi potremmo chiamare costituzione genetica. Non per soccombere ai geni, ma per interagire con l’informazione che contengono, con l’obiettivo di guidarla.
(Fonte supplemento “Salute” de La Repubblica 01/02/2007 pag. 12

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Malato terminale salvo grazie agli Omega-3?

La comunità scientifica è scossa dal caso di un malato terminale statunitense affetto da istiocitoma fibroso maligno con lesioni multiple in entrambi i polmoni che senza intervento chirurgico né chemioterapia (i suoi medici curanti lo avevano dato per spacciato), ma solo con dosi elevate di acidi grassi omega-3 introdotti nella sua dieta grazie all’olio di pesce, ha avuto un lento ma marcato miglioramento. Il paziente è tuttora asintomatico dopo 5 anni di trattamento e le TAC hanno determinato una riduzione delle masse tumorali del 90 per cento. Pur con la dovuta cautela, il caso del signor D.H. sta sollevando il più vivo interesse degli scienziati.
L’uomo, un 78enne di Reno, in Nevada, era un vicino di casa di Ronald S. Pardini, professore di Biochimica e direttore associato della Nevada Agricultural Experiment Station presso l’University of Nevada. Una volta ricevuta la terribile diagnosi, l’uomo si è rivolto a Pardini, autore in passato di ricerche che avevano dimostrato che l’assunzione di acidi grassi omega-3 diminuiva significativamente la crescita delle cellule tumorali mammarie, ovariche, pancreatiche, del colon e della prostata in topi di laboratorio.
“Nel 2000 al signor D.H. sono stati diagnosticati solo pochi mesi di vita”, spiega Pardini. “Ma cinque anni dopo D.H. è ancora vivo e ha persino guadagnato peso”. Il signor D.H., invece che a un intervento chirurgico o a un ciclo di chemioterapia, è stato sottoposto ad un intervento nutrizionale teso ad incrementare drasticamente l’assunzione di acidi grassi omega-3 mediante il consumo di olio di pesce e a diminuire viceversa l’assunzione di omega-6.
“Abbiamo stimato un consumo quotidiano per D.H. di 15 grammi di acido eicosapentenoico omega-3 (EPA) e di acido docosaesaneoico (DHA) al giorno, e la percentuale di acido linoleico/omega-3 nella sua dieta era di 0,81”, spiega Pardini. “Nei 5 anni finora trascorsi una serie di TAC e radiografie polmonari hanno registrato una lenta ma costante diminuzione in numero e dimensioni dei noduli bilaterali. Il signor D.H. non ha denunciato effetti collaterali particolari dovuti al grande consumo di olio di pesce ed è rimasto asintomatico”.

Fonte: Pardini RS, Wilson D Schiff S et al. Nutritional Intervention With Omega-3 Fatty Acids in a Case of Malignant Fibrous Histiocytoma of the Lungs. Nutrition and Cancer 2005; 52(2): 121-9. doi:10.1207/s15327914nc5202_2.

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I benefici del pesce nello sviluppo fetale

L’ALIMENTAZIONE incide sul nostro sviluppo fin dai nove mesi di gestazione, hanno spiegato i pediatri riuniti per il congresso Milanopediatria 2006. Qui Carol Lammi-Keefe, direttrice della Divisione Nutrizione Umana all’Università della Louisiana (USA), tra i massimi esperti di allattamento al seno e dieta in gravidanza, ha illustrato la sua ultima ricerca.
“Abbiamo condotto uno studio su due gruppi di gestanti, somministrando, già dalla 24esima settimana, due tipi di barrette a base di cereali: uno conteneva DHA, acido docosaesaenoico, un acido grasso omega-3 contenuto nel pesce, e l’altro olio di girasole”, ha detto Lammi-Keefe, “I bambini nati da madri che hanno consumato DHA presentavano un migliore sviluppo del sistema sonno-veglia neonatale. Altri effetti si registrano sull’acuità visiva, già a 4 mesi, e sulle capacità motorie e cognitive, valutabili dai 9 mesi in poi attraverso il gioco”.
“Il latte materno, che favorisce lo sviluppo neurocognitivo”, ha spiegato Carlo Agostoni, Clinica Pediatrica Universitaria-Osp. San Paolo di Milano, “contiene circa 7-8 mg/dL di DHA, costanti nel corso dell’allattamento fino al dodicesimo mese. L’omega-3 gioca un ruolo molto importante nel regolare le attività delle membrane, nella modulazione delle forme immunoallergiche e gli stati di infiammazione, compresa la formazione dell’aterosclerosi e nella prevenzione di fenomeni aritmici a livello cardiaco. Dalle evidenze scientifiche possiamo quindi stimare che, in età pediatrica, e dopo, l’assunzione di DHA dovrebbe essere intorno a 5-10 mg/kg al dì”.

(Fonte supplemento “Salute” de La Repubblica 21/12/2006 pag. 21)

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Obesi e depressi non mangiano pesce

Obesi e depressi non mangiano pesce: lo rileva una ricerca fatta da un’equipe medica su 800 pazienti in sovrappeso e presentata a Rimini.

Secondo l’indagine illustrata dal dott. Vercilli, il 96,4% del campione ha dichiarato di non mangiare mai o quasi mai pesce a cena (a pranzo il consumo e’ ridottissimo); il 3,6% lo mangia 3-4 volte la settimana, nessuno sempre o quasi sempre.

Ad aiutare a combattere la depressione c’e’ il pesce azzurro grazie alla presenza dei grassi polinsaturi ‘Omega 3’.

Fonte: ANSA (07/12/2003)

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L’evoluzione dell’uomo ringrazia gli omega-3

l metabolismo lipidico dell’uomo è “programmato” per funzionare al meglio con un introito alimentare di acidi grassi polinsaturi (PUFA) nel quale gli n-6 (o omega-6) siano in rapporto 2:1 con gli n-3 (o omega-3). L’alimentazione umana ha conservato questo rapporto ideale dal Paleolitico fino a circa diecimila anni fa, quando la “rivoluzione agricola” – cioè l’impianto di coltivazioni agricole a scopo alimentare – ha iniziato ad spostarlo verso l’alto fino a valori che oggi si collocano tra 10 e 20:1.

D’altra parte, è ormai dimostrato che nei paesi occidentali l’inversione di questa “insana” tendenza riduce l’incidenza della morte improvvisa, della cardiopatia ischemica e delle malattie cardiovascolari in genere, ma non si può escludere che futuri studi randomizzati e controllati dimostrino che ripristinare il giusto apporto dietetico di PUFA n-3 contribuisce alla lotta contro altre malattie degenerative di grande importanza epidemiologica come l’obesità, il diabete e vari tipi di tumore.

E’ questo il senso della ricerca che l’epidemiologa greco-americana Artemis Simopoulos, presidente del Center for Genetics, Nutrition and Health di Washington, DC, porta avanti da più di un decennio, ben sintetizzato in una sua recente pubblicazione (A. P. Simopoulos. Evolutionary aspects of diet, essential fatty acids and cardiovascular disease. Eur.Heart J.Supplements 2001; 3[Suppl.D]: D8-D21).

(Fonte Kataweb Salute 6/12/2002)

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Dieta e umore

Un sistema serotoninergico poco attivo è associato a un precoce “indurimento” delle arterie o, altrimenti detto, uno stato depressivo tende a predisporre allo sviluppo dell’aterosclerosi, e a un aumento del rischio di infarto, ictus e soprattutto di trombosi alla carotide. È quanto risulta da uno studio presentato alla Conferenza della Società americana di medicina psicosomatica in corso a Denver da un gruppo di ricercatori dell’Università di Pittsburgh diretti da Matthew F. Muldoon. La correlazione, peraltro, non è dovuta a un diretto legame biochimico fra i due processi patologici, quanto piuttosto agli stili di vita che una persona sofferente di depressione tende ad adottare e che moltiplicano i suoi fattori di rischio.
Un’altra ricerca svolta presso la stessa università e coordinata da Sarah Conklin ha poi rilevato che una dieta ricca di acidi grassi polinsaturi omega-3 – che svolge un’azione protettiva nei confronti dello sviluppo di patologie cardiovascolari – sembra essere in grado di alleviare i sintomi nei disturbi dell’umore lievi. In questo caso lo studio era nato dall’osservazione che i livelli ematici di questi acidi grassi appaiono sistematicamente più bassi del normale nei pazienti affetti da depressione, disturbo bipolare e schizofrenia. Ciò, però, come è stato rilevato dalla ricerca di cui si è detto in precedenza, potrebbe essere legato agli stili di vita, conseguenti alla patologia, mentre è ancora tutto da spiegare come e perché un aumento di questi composti nella dieta possa in qualche modo influire sull’umore.
Una buona dieta sembra dunque utile per prevenire l’aterosclerosi e per cercare di difendersi dai disturbi dell’umore, mentre curare la depressione appare molto importante per ridurre il rischio di accidenti cardiovascolari. La situazione appare peraltro complicata da un terzo studio, condotto presso la Duke University, secondo il quale l’uso di antidepressivi in persone già sofferenti di patologie cardiache potrebbe aggravare la loro situazione. Va detto tuttavia che, per ammissione degli stessi autori della ricerca, questi ultimi dati non sono conclusivi e necessitano di ulteriori indagini. Tanto più che la sospensione di una terapia antidepressiva, aumentando i livelli di stress e inducendo una minore attenzione verso le proprie esigenze di benessere, potrebbe ripercuotersi negativamente sulla situazione cardiaca. Per ora, il consiglio rivolto ai medici per i pazienti depressi con grossi problemi di cardiopatia è stabilire con attenzione terapie personalizzate e seguirne molto da vicino l’andamento.

Fonte: Le Scienze (07/03/2006)

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Omega-3, nuovo studio sulla depressione

È stata pubblicata sull’Australian Journal of Nutrition and Dietetics una ricerca condotta da dietologi dell’università di Sydney sui benefici che apportano alcuni alimenti alla depressione.

È stato rilevato che gli acidi grassi omega-3, che si trovano naturalmente nei pesci oleosi e in alcuni cereali e noci, offrono una terapia a base nutritiva utile per la depressione. Altre sostanze sono le vitamine B6 e B12, l’acido folico, la sostanza chimica S-Adenosyl Methionine (SAMe), l’amminoacido essenziale tryptophan e l’estratto erboristico dell’iperico detto anche erba di San Giovanni.

L’autrice dello studio, Dianne Volker, ha affermato a tal proposito “abbiamo trovato evidenze dei benefici terapeutici potenziali nell’incorporare gli acidi grassi omega-3 poli-insaturi nella dieta, tali da poter contribuire ad una guarigione nel lungo termine. Si tratta definitivamente di un contributo di valore da aggiungere ai trattamenti psicosociale e farmacologico a cui si sottopongono i pazienti di depressione”. La dose ottima, conclude Volker, corrisponde a tre pasti a settimana di pesci oleosi come salmone, sardine, maccarelli o tonno fresco.

(Fonte Il Giornale del Farmacista 5/12/2006)

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I pregi del salmone

Secondo recenti studi, gli omega 3 sembrano contribuire anche alla prevenzione di alcuni tumori ed essere utili nel trattamento dell’artrite reumatoide. Sono anche studiati per il loro potenziale ruolo antidepressivo e perché sembrano contrastare il declino delle capacità cognitive nell’invecchiamento. Infine, sono necessari al feto per lo sviluppo di cervello e retina. Il salmone, come del resto gli altri pesci, è anche un’ottima fonte di proteine, di minerali (quali il fosforo) e, più di altri pesci, di vitamine come la E e la D. Quest’ultima promuove l’assorbimento del calcio e favorisce la mineralizzazione dello scheletro: il salmone, insieme a sgombri, aringhe e altri pesci grassi, è uno dei pochi alimenti che ne contiene quantità significative.
LA SCELTA
Insomma, nel caso del salmone, le calorie in più (185 per etto per il salmone fresco, 147 per quello affumicato) trovano ampie giustificazioni. Ma quale tipo di salmone scegliere? Risponde Elena Orban, responsabile dell’Unità di studio sui prodotti ittici all’Istituto Nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione: «Da nostri studi emerge che i pesci di allevamento hanno quantitativi di omega 3 paragonabili a quelli del pesce selvaggio. Quanto al salmone affumicato, consiglio di non eccedere, perché durante l’affumicatura si possono formare sostanze che, in quantità elevata, possono essere pericolose. Inoltre, i prodotti affumicati, come i cibi in scatola, sono molto ricchi di sale, che aiuta la conservazione. Fortunatamente, ora il salmone affumicato, e la nostrana trota salmonata affumicata, identica sotto il profilo nutrizionale e organolettico come dimostrano i nostri studi, vengono affumicati a basse temperature (27-30°C) e con meno sale».

Fonte: Corriere della Sera (11/01/2004)

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Sardine contro infarto e ictus

Sardine regine della tavola per proteggere cuore e vasi ed evitare infarto e ictus. Parola di esperti, infatti, piu’ ancora di sgombri e aringhe sono proprio le sardine i pesci azzurri piu ricchi di acidi grassi omega-3: antiossidanti spazzini in grado di ripulire le arterie. A consigliare un consumo maggiore di questa specie ittica economica, ma poco gettonata nella penisola, sono i medici della Societa italiana per lo studio dell’ateriosclerosi (Sisa), riuniti a Mestre (Venezia) per il loro XIX Congresso nazionale.

Ed ecco la ricetta salvacuore suggerita dagli specialisti a convegno: per le persone sane pesce azzurro due volte a settimana per assicurarsi circa mezzo grammo al giorno di omega-3, mentre per chi ha gia avuto incidenti cardiovascolari pesce azzurro due volte a settimana con laggiunta di integratori farmacologici a base di omega-3, cosi da arrivare ad assumere un grammo al giorno di questo grasso amico. Gli effetti benefici degli omega-3, sia presenti in natura nella fauna ittica sia di derivazione farmacologica, sotto forma di integratori appositamente studiati, sono ormai assodati nella riduzione del rischio cardiovascolare, ha sottolineato Graziana Lupatelli, collaboratrice del presidente Sisa Elmo Mannarino, Clinica medica universita di Perugia.

Per questo, ripetono gli esperti, e consigliabile introdurre nella dieta tutte le tipologie di pesce azzurro e in particolare le sardine, in assoluto le piu ricche in omega 3. Queste sostanze hanno azione antitrombotica, riducono i livelli di trigliceridi nel sangue e prevengono le aritmie cardiache, ricorda una nota Sisa.

Fonte: AdnKronos (29/11/2005)

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