l metabolismo lipidico dell’uomo è “programmato” per funzionare al meglio con un introito alimentare di acidi grassi polinsaturi (PUFA) nel quale gli n-6 (o omega-6) siano in rapporto 2:1 con gli n-3 (o omega-3). L’alimentazione umana ha conservato questo rapporto ideale dal Paleolitico fino a circa diecimila anni fa, quando la “rivoluzione agricola” – cioè l’impianto di coltivazioni agricole a scopo alimentare – ha iniziato ad spostarlo verso l’alto fino a valori che oggi si collocano tra 10 e 20:1.
D’altra parte, è ormai dimostrato che nei paesi occidentali l’inversione di questa “insana” tendenza riduce l’incidenza della morte improvvisa, della cardiopatia ischemica e delle malattie cardiovascolari in genere, ma non si può escludere che futuri studi randomizzati e controllati dimostrino che ripristinare il giusto apporto dietetico di PUFA n-3 contribuisce alla lotta contro altre malattie degenerative di grande importanza epidemiologica come l’obesità, il diabete e vari tipi di tumore.
E’ questo il senso della ricerca che l’epidemiologa greco-americana Artemis Simopoulos, presidente del Center for Genetics, Nutrition and Health di Washington, DC, porta avanti da più di un decennio, ben sintetizzato in una sua recente pubblicazione (A. P. Simopoulos. Evolutionary aspects of diet, essential fatty acids and cardiovascular disease. Eur.Heart J.Supplements 2001; 3[Suppl.D]: D8-D21).
(Fonte Kataweb Salute 6/12/2002)